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THE HIGH END OF LOW
Per il settimo album studio della sua storia il Reverendo Manson rinuncia all’apporto di Tim Skold che, oltre al precedente "Eat Me Drink Me", era stato autorevole compositore delle musiche di "Antichrist Superstar". Poco male, perché il progetto iniziale di Brian Warner prevede di inserire nel suo line-up una chitarra del calibro di Wes Borland. Il progetto tramonta tanto veloce quanto veloce era nato. Mister Brian Warner però non si lascia scoraggiare e ricontatta per il ruolo di primo chitarrista Twiggy Ramirez reduce dal lustro passato tra A Perfect Circe, Nine Inch Nails e dal suo progetto solista, i Good Moon. Inoltre prende sempre più potere Chris Vrenna, polistrumentista mago delle percussioni e dell’elettronica. Già con il più pop "Eat Me Drink Me", il buon Manson aveva dato forti segnali di apertura verso sonorità più acustiche e meno intrise di cervellotiche sperimentazioni, chitarre pesanti ed elettroniche psichedelìe. Mentre il predecessore era frutto di un traumatico periodo di depressione dovuto alla separazione dalla moglie Dita Von Teese che ha portato il Reverendo a buttare giù i pezzi dell’album nelle vacanze natalizie a cavallo tra il 2006 e il 2007, la genesi di "The High End of Low" invece è lunga dieci faticosi mesi (a suo dire) tra travagliate sessioni di registrazione e indecisioni post-produzione.
Sopra tutto questo, sopra tutti i giudizi possibili sull’evoluzione della proposta musicale mansoniana, sopra le scelte di vita dell’uomo Brian Warner, c’è un artista che con la sua voce sofferta riesce a rendere stupidi motivetti ripetitivi come strazianti ballate per i reietti del sistema. Manson recupera il concetto di metal a cavallo tra gli anni '60 e '70 non da un punto di vista musicale bensì da un punto di vista intellettuale. I suoi due ultimi album mettono in luce la figura del disilluso romantico e raccolto su se stesso. In un pentolone viene mescolato un po’ di Alice Cooper, un po’ di Jim Morrison, cuocendo il tutto a fuoco lento nell’assenzio. In fin dei conti è l’unica vera Rock Star rimasta, laddove anche mostri sacri si sono conformati ad essere molto più manager che artisti, Manson continua con le sue stravaganti ed inutili opere di pittura, il già citato assenzio che può commerciare solo in Europa e nell’ambiguo rapporto con le chiese sataniche.
L’opener è a mio avviso di ottimo livello e già la proporrei come miglior brano, “Devour” è accattivante, sognatrice, romantica e stronza allo stesso tempo. Soprattutto facile nel ritornello, è vero, ma riassuntiva di tutto l’album, un mix di lenti, ballate e canzoni più potenti. Ma per tutto il lavoro si capirà che a bassa velocità il Manson di oggi si esprime meglio. A spronare le chitarre ci penserà il coinvolgente motivetto di “Pretty as a Swastika”, tralasciando ogni discorso relativo ai contenuti. La terza traccia “Leave a Scar” e il primo “Arma-Goddamn-Motherfuckin-Geddon” riprendono le tematiche sonore gran guignolesche di The Golden Age of Grotesque” basate su un Hard Rock dal ritmo cadenzato e danzereccio ma dalla scarsa profondità artistica. Questi pezzi sono comunque una piccola concessione alla commercialità poiché Manson per tutto l’album continua a martellare col tema delle proprie paturnie amorose nelle ballate “Four Rusted Horses” e “Running to the Edge of the World”. Spiccano per personalità “Wight Spider”, dove le chitarra di Twiggy gioca un’ottima parte, la struttura lenta e solenne di “Into the Fire” e “I Have to Look Up Just to See Hell”, che ricorda decisamente qualcosa di già sentito. Se “I Want to Kill You Like They Do in the Movies” nonostante i nove minuti può destare interesse, la lunghezza complessiva dell’album stanca. Soprattutto considerando che alcuni pezzi sono dei riempitivi (“Blank and White”, “Unkillable Monster”) e altri come “We’re from America”, brutta copia di qualsiasi pezzo del primo Lenny Kravitz, e “WOW”, aborto sintetico senza ne capo ne coda, sono totalmente prescindibili. Senza infamia ne lode la conclusiva “15”.
Il Reverendo perde tutti connotati antisociali e rivoltosi espressi nei primi album. Anche la voglia di provocare e shockare fa spazio all’introverso solco lasciato dagli amori falliti. Il nichilismo a cui ci aveva abituati perde la componente mediatica e diventa sfogo personale.
Da un punto di vista musicale ci dovremo abituare a pezzi più lenti meno urlati e più sofferti. Mentre all’inizio della carriera pezzi come “Coma White” erano delle perle incastonate in incandescenti scarichi industrial, il nuovo Manson inverte totalmente la tendenza non riuscendo però a replicare ciò che di esaltante aveva proposto in passato.
Se anche voi siete invecchiati un po’ con lui lo capirete altrimenti buttatevi sugli special price dei suoi album di metà anni novanta.
Voto: 6,5
01. Devour
02. Pretty As A Swastika
03. Leave A Scar
04. Four Rusted Horses
05. Arma-goddamn-motherfuckin-geddon
06. Blank And White
07. Running To The Edge Of The World
08. I Want To Kill You Like They Do In The Movies
09. WOW
10. Wight Spider
11. Unkillable Monster
12. We're From America
13. I Have To Look Up Just To See Hell
14. Into The Fire
15. 15