L’album oggetto di recensione è un remix totale dell’ultimo studio album dei Prong uscito nel 2008. Pur non essendo un buon album i remix sono di livello superiore al prodotto originale della band newyorkese.
E dire che i Prong sono forse la vera icone del movimento underground metal della grande mela dei primi anni novanta. Considerati per anni i fautori delle prime sonorità industrial, il combo capitanato dalla prorompente personalità di Tommy Victor ha culminato la propria carriera nel 1994 con l’album Cleasing risultato di anni passati a suonare davanti ad un pubblico di poche persone nei piccoli locali urbani della east coast.
Pressoché sconosciuti al grande pubblico ma osannati dalla critica il loro sound è fatto di riff potenti e precisi che sembrano tagliati con violenza da una scure, pochissime concezioni commerciali e venato da una certa ritorsione nei confronti dei chorus orecchiabili. Sono loro l’anello di congiunzione tra le sporche sonorità del garage thrash degli anni ottanta, il più tecnico e pesante dei punk rock e all’impatto deciso dell’industrial di gruppi come Ministry, Nine Inch  Nails e Fear Factory.
Dopo che al culmine della carriera sono stati scaricati dalle major (Epic Records) a metà degli anni novanta i membri del gruppo si erano dati a collaborazioni e partecipazioni in altri progetti con ruoli a dir poco irrilevanti per quello che avevano fatto in precedenza.
Nel 2007 Tommy Victor ricostituisce il gruppo con il progetto di un nuovo album puntualmente prodotto l’anno dopo col titolo Power of The Damager.
L’album, così come i suoi predecessori, raccoglie meno di quanto vale, questo nonostante i tentativi di modernizzare il loro classico groove e mischiando il background di Tommy Victor con nuovi canoni stilisitici. I Prong ottengono esattamente il contrario e, proponendo comunque un discreto lavoro, cadano nella banalità di contemporaneizzarsi creando un distacco pressoché incolmabile dalle capacità innovatrici mostrate venti anni prima. È una prova scialba che sminuisce la propensione del gruppo di essere sempre all’avanguardia. Tutto questo nonostante il timone della produzione fosse retto da un mostro come Al Jurgensen (Ministry).
L’inserimento dell’elettronica rende più personale il lavoro anche se alla lunga lo rende pesante da digerire. Questo accade a causa dell’elevato livello dei personaggi al mixaggio, ognuno vuole stupire e creare qualcosa di eccezionale e alla fine il risultato è ridondante e già da metà album in poi il lavoro dei mixer imbalsama e imbolsisce i pezzi rendendoli quasi noiosi.
La “The Banishment” di Rob Caggiano, storica chitarra degli Anthrax, è forse l’arrangiamento migliore che l’album esprime. Attraverso l’allungamento dei riff si arriva ad un risultato più armonico anche se l’impronta dei Prong a questo punto è quasi del tutto cancellata. Un grande impatto lo ottiene anche il duo DJ? Acucrack, che per chi non li conoscesse sono una vera icona nel Drum & Bass, rendendo oltremodo cattiva “No Justice”. Mi aspettavo sinceramente qualcosa di più da AK1200, consideratissimo DJ dalla più che ventennale esperienza ma che qui si limita solo a digitalizzare i suoni. L’album culmina con “Bad Fall” su cui mette le mani Greg Puciato dei The Dillinger Escape Plan e la rende maestosa a dir poco. Purtroppo essendo l’ultimo brano ho la vana sensazione che in pochi ci arriveranno.
Alla fine tra studio album e remix è difficile raggiungere la sufficienza, i Prong erano un punto fermo alla voce influenze di tantissimi gruppi di spessore. Il presente non vale quanto il passato, speriamo nel futuro.