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GODHEAD
AT THE EDGE OF THE WORLD
AT THE EDGE OF THE WORLD
I Godhead raggiungono le luci della ribalta durante il 2001 quando risultano essere una delle band di punta della neonata etichetta Posthuman del Reverendo Manson. Il primo lavoro pubblicato è “2000 Years of Human Error” che gli vale la prestigiosa passerella dell’Ozzfest affiancando proprio il Reverendo e gruppi del calibro di Disturbed, Mudvayne e Static-X, collocandosi come genere tra Rammstein e Orgy, anche loro presenti nel carrozzone itinerante.
Inizialmente i Godhead propongono un sound imperniato su un Industrial Metal con molte venature Wave.
Due anni dopo viene dato alla luce “Evolver” che purtroppo per il gruppo non ricalca per nulla il successo del precedente album e la band si ritrova senza contratto. Il sound del gruppo si ammorbidisce notevolmente e su pressione del singer e leader del gruppo, Jason C Miller, vira verso atmosfere più dark e gothic con testi più introspettivi e cupi.
Finalmente nel 2006 attraverso un auto produzione e la Cement Shoes Records viene pubblicato “The Shadow Line”, indubbiamente il lavoro più completo della band. Il costante declivio verso un hard rock misterioso e intrigante si aggancia alla nuova capacità di creare chorus piacevoli e melodie più complete. La bellissima cover completa l’opera mostrando un lavoro personale e posizionando i Godhead in una nicchia musicale tutta loro. Il discreto ritorno di pubblico gli permette di tornare a calcare le scene al fianco di artisti di ottimo calibro come Jonathan Davis, Ill Nino e American Head Charge.
Dopo la pubblicazione di un “unplugged” ecco il quarto studio album: “At The Edge of The World”. Si tenta evidentemente di bissare il buon risultato ottenuto con “The Shadow Line” ricalcandone passo per passo tutte le forme e presentando un songwriting pressoché speculare.
Non una gran cosa parliamoci chiaro. Va bene cavalcare l’onda giusta ma proporre due album identici non depone certo a favore di una band che ha i mezzi per farsi valere. Mezzi che a livello di talento risiedono nella quasi totalità del già citato Jason C Miller. Singer dalla voce non potentissima e che in più di una traccia si fa aiutare da filtri e sintetizzatori me che riesce ad interpretare le canzoni più che limitarsi a cantarle e basta risultando quasi sofferente durante le performance.
Dopo un intro che ci dovrebbe portare proprio lì al limite del mondo parte “The Puppet” con il suo maestoso incedere di batteria e le strofe quasi cantilenate. È un buon inizio considerando che alla traccia successiva si presenta il singolo “Stay Back”, pezzo tipico per la band di Washington DC con voce suadente durante le strofe e chorus con le chitarre in primo piano. L’album si snoda sulla falsa riga del suo predecessore tra canzoni sofferte e tracce più veloci mantenendo un leggero crossover nelle basi di chitarra e inserendo atmosfere gotiche e cupe, quasi dark. Tra le migliori si fanno segnalare la sognante “Just Take Anything”, la title track dal ritornello di forte impatto, il dark wave di “Become The Sky” nel quale troviamo pure coretti di accompagnamento e “And Ever” con un assolo di chitarra in stile classico. Tutto l’album si mantiene su un ottimo livello compositivo ma denota un songwriting decisamente poco variegato. Molte tracce posso risultare quasi interscambiabili tra loro nonostante siano di ottima fattura. Fuori dai canoni risulta essere la conclusiva “The Origin of Suffering”, incorniciata dal piano e dai violini la voce suadente e triste di Jason C Miller accarezza le strofe per poi mostrare i muscoli con le chitarre dei chorus.
Seguono ben cinque remix che mostrano quanto i Godhead abbiano a cuore l’elettronica. Degne di nota solo i remix di “Stay Back” in stile Robert Miles (ma come “chi?”: quello con le due tastiere di metà anni novanta…) e una “Closing the Door” da Subsonica.
Un album abbastanza ruffiano poiché risulta essere una copia del precedente “The Shadow Line”. I Godhead risultano essere un isola distante dalle mode del momento e continuano sulla loro strada convinti di quello che fanno. Se avete già l’album precedente ascoltatevi quello, se invece non li conoscete e avete letto solo per curiosità sappiate che “At the Edge of the World” non brilla di originalità ma è granitico nella sua compattezza a livello qualitativo ed è diverso da ciò che troverete in giro.
Inizialmente i Godhead propongono un sound imperniato su un Industrial Metal con molte venature Wave.
Due anni dopo viene dato alla luce “Evolver” che purtroppo per il gruppo non ricalca per nulla il successo del precedente album e la band si ritrova senza contratto. Il sound del gruppo si ammorbidisce notevolmente e su pressione del singer e leader del gruppo, Jason C Miller, vira verso atmosfere più dark e gothic con testi più introspettivi e cupi.
Finalmente nel 2006 attraverso un auto produzione e la Cement Shoes Records viene pubblicato “The Shadow Line”, indubbiamente il lavoro più completo della band. Il costante declivio verso un hard rock misterioso e intrigante si aggancia alla nuova capacità di creare chorus piacevoli e melodie più complete. La bellissima cover completa l’opera mostrando un lavoro personale e posizionando i Godhead in una nicchia musicale tutta loro. Il discreto ritorno di pubblico gli permette di tornare a calcare le scene al fianco di artisti di ottimo calibro come Jonathan Davis, Ill Nino e American Head Charge.
Dopo la pubblicazione di un “unplugged” ecco il quarto studio album: “At The Edge of The World”. Si tenta evidentemente di bissare il buon risultato ottenuto con “The Shadow Line” ricalcandone passo per passo tutte le forme e presentando un songwriting pressoché speculare.
Non una gran cosa parliamoci chiaro. Va bene cavalcare l’onda giusta ma proporre due album identici non depone certo a favore di una band che ha i mezzi per farsi valere. Mezzi che a livello di talento risiedono nella quasi totalità del già citato Jason C Miller. Singer dalla voce non potentissima e che in più di una traccia si fa aiutare da filtri e sintetizzatori me che riesce ad interpretare le canzoni più che limitarsi a cantarle e basta risultando quasi sofferente durante le performance.
Dopo un intro che ci dovrebbe portare proprio lì al limite del mondo parte “The Puppet” con il suo maestoso incedere di batteria e le strofe quasi cantilenate. È un buon inizio considerando che alla traccia successiva si presenta il singolo “Stay Back”, pezzo tipico per la band di Washington DC con voce suadente durante le strofe e chorus con le chitarre in primo piano. L’album si snoda sulla falsa riga del suo predecessore tra canzoni sofferte e tracce più veloci mantenendo un leggero crossover nelle basi di chitarra e inserendo atmosfere gotiche e cupe, quasi dark. Tra le migliori si fanno segnalare la sognante “Just Take Anything”, la title track dal ritornello di forte impatto, il dark wave di “Become The Sky” nel quale troviamo pure coretti di accompagnamento e “And Ever” con un assolo di chitarra in stile classico. Tutto l’album si mantiene su un ottimo livello compositivo ma denota un songwriting decisamente poco variegato. Molte tracce posso risultare quasi interscambiabili tra loro nonostante siano di ottima fattura. Fuori dai canoni risulta essere la conclusiva “The Origin of Suffering”, incorniciata dal piano e dai violini la voce suadente e triste di Jason C Miller accarezza le strofe per poi mostrare i muscoli con le chitarre dei chorus.
Seguono ben cinque remix che mostrano quanto i Godhead abbiano a cuore l’elettronica. Degne di nota solo i remix di “Stay Back” in stile Robert Miles (ma come “chi?”: quello con le due tastiere di metà anni novanta…) e una “Closing the Door” da Subsonica.
Un album abbastanza ruffiano poiché risulta essere una copia del precedente “The Shadow Line”. I Godhead risultano essere un isola distante dalle mode del momento e continuano sulla loro strada convinti di quello che fanno. Se avete già l’album precedente ascoltatevi quello, se invece non li conoscete e avete letto solo per curiosità sappiate che “At the Edge of the World” non brilla di originalità ma è granitico nella sua compattezza a livello qualitativo ed è diverso da ciò che troverete in giro.
NMT
Voto: 7
Voto: 7
TRACKLIST:
01. Approaching the Edge (Intro)
02. The Puppet
03. Stay Back
04. Just Take Anything
05. Hero
06. The Decline
07. Edge of the World
08. Closing the Door
09. Soldier's Song
10. Consumption
11. Beceom the Sky
12. And Ever
13. The Origin of Suffering
14. Stay Back
15. Consumption
16. Soldier's Song
17. Closing the Door
18. Edge of the World
01. Approaching the Edge (Intro)
02. The Puppet
03. Stay Back
04. Just Take Anything
05. Hero
06. The Decline
07. Edge of the World
08. Closing the Door
09. Soldier's Song
10. Consumption
11. Beceom the Sky
12. And Ever
13. The Origin of Suffering
14. Stay Back
15. Consumption
16. Soldier's Song
17. Closing the Door
18. Edge of the World