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IN FLAMES
A SENSE OF PURPOSE
A SENSE OF PURPOSE
Gli In Flames sono una band nata nel 1990. Sono i padri, insieme a Dark Tranquillity e At The Gates, del Death Melodico scandinavo. Sono una band che tra uscite ufficiali, live album, DVD e cofanetti vari ha riempito per più di quindici anni gli scaffali dei negozi.
Eppure sono una delle band più controverse e più discusse. In primis proprio dai suoi fans.
Gli In Flames vengono sistematicamente criticati ad ogni uscita da quando siamo entrati nel nuovo millennio. Accuse di commercializzazione, di servilismo verso la casa discografica (la Nuclear Blast poi, che se non vomiti nel microfono non è contenta!) e soprattutto di essere diventati molli.
Assurdo. Assurdo pensare che una band che si è formata 18 anni fa non subisca un’evoluzione conformemente a quella che è l’evoluzione musicale del periodo. Chi più chi meno, tutti hanno subito le influenze dei fattori esterni. Tutti. Bisogna solo levarsi il cappello davanti una band che ora è pietra di paragone per tutte le nuove leve di un genere, il Death Melodico appunto, e che ora si avventura con piena capacità dei propri mezzi in un terreno inesplorato. Si, perché questo “A Sense of Purpose”, come il precedente album “Come Clarity”, dimostra ancora una volta l’enorme potenziale del combo svedese.
Proprio partendo dal già citato “Come Clarity” si può ascoltare una sterzata netta dal precedente sound degli In Flames. Pur avendo sempre mantenuto un growl poco marcato con un timbro gutturale che permetteva sempre di seguire i testi delle canzoni, ora viene concesso più spazio alla voce di Anders Friden potendolo ascoltare in parti di cantato pulito, soprattutto nei chorus. La potenza sonora granitica dei primi lavori, ma potremmo parlare di capolavori, come “The Jester Race” e “Whoracle” è stata spezzettata e rallentata per dare più profondità nelle strofe e rendere meglio lo stacco con i ritornelli melodici. Una evoluzione mirata e personale, frutto di una incatalogabile capacità di proporre musica di ottimo livello senza ripetere sempre gli stessi mood.
Ora si può dire che il suono del gruppo svedese si avvicina ad un Metalcore raffinato con fortissime influenze di metal classico. Attenzione! Niente è lasciato al caso. Infatti rispetto al suo predecessore è più legato alla storia della band senza però riproporre una minestra riscaldata che a questo punto della loro crescita artistica avrebbe veramente poco senso.
“The Mirror’s Truth” ricalca a pieno le premesse che ho fatto. E’ orecchiabile, di impatto e sicura di se anche in quel ritornello così tremendamente pop. I riff accelerano in “Disconnected” fino a sfiorare il trash. Una tipica introduzione di chitarra acustica da il via ad un pezzo, “Sleepless Again”, che non varia dalla traccia precedente. Lo stessa alternanza di riff elettrici ed acustici riporta un po’ di passato nella successiva “Alias”. La voce diventa via via più melodica in “I’m the Highway” dove si respira aria di Heavy classico. Anche “Delight and Angers” propone parti alternate tra riff potenti, arpeggi di chitarra acustica e chorus melodici di facile apprendimento. Fin qui l’album, pur con diverse sfumature, mantiene il suo standard compositivo in ogni pezzo con un ottimo livello qualitativo distribuito equamente.
“Move Through Me” è il primo campanello di cambiamento. Le metriche sono più serrate , il cantato è più “cattivo” l’assolo veloce e si odono tastiere. Piccole variazioni sul tema.
La svolta che gli In Flames hanno dato alla loro carriera ci permette di poter ascoltare pezzi come “The Chosen Pessimist”. Questa è legata a pezzi proposti nel passato in cui la vena malinconica faceva da padrona, ma che impone all’ascoltatore una traccia articolata come forse non mai nella discografia della band svedese. Il brano parte senza distorsioni di chitarra e l’introduzione sequenziale delle parti di batteria, canto e campionamenti finali con un’esplosione di emotività in crescendo. Questo rende la track un vero stacco, di ben 8 minuti, vitale per l’album. La successiva e potente “Sorber and Irrelevant” riporta al mood iniziale che si ripete in “Condemned” e “Drenched in Fear”. Chiusura degna di nota spetta a “March to the Shore” coinvolgente come i migliori pezzi dell’album.
Senza avere picchi di esaltazione da far urlare al capolavoro, gli In Flames presentano un album senza neanche un pezzo brutto (scusate se è poco) e confermano di aver intrapreso una strada nella quale possono dire la loro. I fans storici della band non saranno d’accordo ma forse è meglio che si chiedano se anche loro sono gli stessi del 1997. Io preferisco accettare un buon cambiamento che un il declino di un mito.
Eppure sono una delle band più controverse e più discusse. In primis proprio dai suoi fans.
Gli In Flames vengono sistematicamente criticati ad ogni uscita da quando siamo entrati nel nuovo millennio. Accuse di commercializzazione, di servilismo verso la casa discografica (la Nuclear Blast poi, che se non vomiti nel microfono non è contenta!) e soprattutto di essere diventati molli.
Assurdo. Assurdo pensare che una band che si è formata 18 anni fa non subisca un’evoluzione conformemente a quella che è l’evoluzione musicale del periodo. Chi più chi meno, tutti hanno subito le influenze dei fattori esterni. Tutti. Bisogna solo levarsi il cappello davanti una band che ora è pietra di paragone per tutte le nuove leve di un genere, il Death Melodico appunto, e che ora si avventura con piena capacità dei propri mezzi in un terreno inesplorato. Si, perché questo “A Sense of Purpose”, come il precedente album “Come Clarity”, dimostra ancora una volta l’enorme potenziale del combo svedese.
Proprio partendo dal già citato “Come Clarity” si può ascoltare una sterzata netta dal precedente sound degli In Flames. Pur avendo sempre mantenuto un growl poco marcato con un timbro gutturale che permetteva sempre di seguire i testi delle canzoni, ora viene concesso più spazio alla voce di Anders Friden potendolo ascoltare in parti di cantato pulito, soprattutto nei chorus. La potenza sonora granitica dei primi lavori, ma potremmo parlare di capolavori, come “The Jester Race” e “Whoracle” è stata spezzettata e rallentata per dare più profondità nelle strofe e rendere meglio lo stacco con i ritornelli melodici. Una evoluzione mirata e personale, frutto di una incatalogabile capacità di proporre musica di ottimo livello senza ripetere sempre gli stessi mood.
Ora si può dire che il suono del gruppo svedese si avvicina ad un Metalcore raffinato con fortissime influenze di metal classico. Attenzione! Niente è lasciato al caso. Infatti rispetto al suo predecessore è più legato alla storia della band senza però riproporre una minestra riscaldata che a questo punto della loro crescita artistica avrebbe veramente poco senso.
“The Mirror’s Truth” ricalca a pieno le premesse che ho fatto. E’ orecchiabile, di impatto e sicura di se anche in quel ritornello così tremendamente pop. I riff accelerano in “Disconnected” fino a sfiorare il trash. Una tipica introduzione di chitarra acustica da il via ad un pezzo, “Sleepless Again”, che non varia dalla traccia precedente. Lo stessa alternanza di riff elettrici ed acustici riporta un po’ di passato nella successiva “Alias”. La voce diventa via via più melodica in “I’m the Highway” dove si respira aria di Heavy classico. Anche “Delight and Angers” propone parti alternate tra riff potenti, arpeggi di chitarra acustica e chorus melodici di facile apprendimento. Fin qui l’album, pur con diverse sfumature, mantiene il suo standard compositivo in ogni pezzo con un ottimo livello qualitativo distribuito equamente.
“Move Through Me” è il primo campanello di cambiamento. Le metriche sono più serrate , il cantato è più “cattivo” l’assolo veloce e si odono tastiere. Piccole variazioni sul tema.
La svolta che gli In Flames hanno dato alla loro carriera ci permette di poter ascoltare pezzi come “The Chosen Pessimist”. Questa è legata a pezzi proposti nel passato in cui la vena malinconica faceva da padrona, ma che impone all’ascoltatore una traccia articolata come forse non mai nella discografia della band svedese. Il brano parte senza distorsioni di chitarra e l’introduzione sequenziale delle parti di batteria, canto e campionamenti finali con un’esplosione di emotività in crescendo. Questo rende la track un vero stacco, di ben 8 minuti, vitale per l’album. La successiva e potente “Sorber and Irrelevant” riporta al mood iniziale che si ripete in “Condemned” e “Drenched in Fear”. Chiusura degna di nota spetta a “March to the Shore” coinvolgente come i migliori pezzi dell’album.
Senza avere picchi di esaltazione da far urlare al capolavoro, gli In Flames presentano un album senza neanche un pezzo brutto (scusate se è poco) e confermano di aver intrapreso una strada nella quale possono dire la loro. I fans storici della band non saranno d’accordo ma forse è meglio che si chiedano se anche loro sono gli stessi del 1997. Io preferisco accettare un buon cambiamento che un il declino di un mito.
NMT
Voto: 7
Voto: 7
TRACKLIST:
01. Mirror's truth
02. Disconnected
03. Sleepless again
04. Alias
05. I´m the highway
06. Delight and angers
07. Move through me
08. Chosen pessimist
09. Sober and irrelevant
10. Condemned
11. Drenched in fear
12. March to the shore
01. Mirror's truth
02. Disconnected
03. Sleepless again
04. Alias
05. I´m the highway
06. Delight and angers
07. Move through me
08. Chosen pessimist
09. Sober and irrelevant
10. Condemned
11. Drenched in fear
12. March to the shore