"Il sound è volontariamente grezzo e rinuncia colpevolmente a moltissime delle ritmiche finto-industrial supportate da trasognanti tamarraggini elettroniche utilizzate in passato": con queste parole definii a suo tempo il brutto "Hate Yourself With Style" uscito nel novembre 2005, un lavoro scialbo e deludente che avrebbe potuto sancire la fine del progetto Clawfinger.
Ed invece rieccoli qua con un nuovo album - "Life Will Kill You" - e con il vecchio stile: tornano infatti le ambizioni industrial, torna l'elettronica e tornano chitarre pesanti e ribassate.
Accortisi probabilmente dell'errore madornale commesso in precedenza, i Clawfinger tentano il tutto per tutto con un nostalgico ritorno al passato riproponendo gli elementi portanti delle loro prime produzioni.
Ed è così che l'industrial/nu-metal torna a dominare la struttura delle canzoni, ammiccando spudoratamente più volte agli splendidi Pain del connazionale Peter Tägtren giocando con tablature che si dividono spesso tra Korn e Rammstein mentre Zak Tell rappa come al solito le proprie liriche, incentrate su 'pedofilia, tossicodipendenze, morte, attentatori suicidi, miseria e problemi personali'.
L'impressione è che tutto appaia una forzatura, una sorta di 'ultima spiaggia' per una band imprigionata in strutture prevedibili e stereotipate con l'eccezione di "Little Baby", una pseudo-ballad elettronica sulla scìa di Depeche Mode e Massive Attack; impossibile comunque negare che le canzoni in tracklist si lasciano ben ascoltare, rivelando concreti sprazzi interessanti e coinvolgenti che mostrano una band ancora non intenzionata a gettare definitivamente la spugna.
Fosse uscito una decina d'anni fa "Life Will Kill" sarebbe probabilmente stato considerato un mezzo-capolavoro in grado di giocarsi alla pari con "Deaf Dumb Blind" e "Use Your Brain" il titolo di 'miglior album dei Clawfinger'... una sfida che invece al giorno d'oggi risulterebbe insensata. Il tempo è tiranno.