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GYPSY PUNKS UNDERDOG WORLD STRIKE
…che cosa ci fa lo scrittore cosacco Nikolaj Vasilievic Gogol presso una viziosa casa di tolleranza? Tale domanda retorica andrebbe posta a quel saltimbanco baffuto che risponde al nome di Eugene Hütz, vulcanico artista di natali ucraini assurto al ruolo di zar dei bassifondi newyorkesi grazie alle scorribande musicali compiute al comando della sua banda di scagnozzi… i Gogol Bordello.
Immigrati, oriundi, nomadi e mezzosangue: le origini dei singoli elementi dei Gogol Bordello vanno ricercate nelle lande dell’Europa dell’Est, tra le steppe delle ex repubbliche sovietiche ma anche nei travagliati territori israeliani… i nostri si definiscono “gypsy punks” – musicisti senza fissa dimora e cittadini del mondo – e quello che suonano è un crossover in piena regola dove la musica tradizionale russa, balcanica e quella rom amoreggiano promiscuamente col punk e con il rock, in un concitato girotondo in cui Goran Bregovic, Manu Chao, Mr. Bungle e Bela Bartok si tengono per mano.
Grazie a “Sally”, la carovana arriva in città portando come bagaglio la propria “cultural revolution”: Hütz si dimostra fin da subito grande comunicatore ed intrattenitore poliglotta, genietto operaio capace di escogitare idee semplici ma di sicuro effetto come la letterale “body percussion” di questa prima traccia od i “fire buckets” suonati sulla lampante “Think locally fuck globally”, che non sono altro che dei secchielli di metallo posti sul microfono e percossi dissennatamente. Le due primedonne della complesso – non ce ne vogliano le due avvenenti coriste/percussioniste Pamela ed Elizabeth – sono però Sergey Ryabtzev e Yuri Lemeshev, rispettivamente violinista e fisarmonicista: le due “superstar” jammano festosamente su “Mishto!” ed imperversano in lungo e in largo, dando un contributo fondamentale alla resa globale del disco. La “fanfara” dei Gogol Bordello si esprime al meglio con l’esagitato punk zigano “I would never wanna be young again” e con i colpi di teatro del rock-cabaret di “Dogs were barking” o della marcetta polkeggiante “Start wearing purple” ma riscuote consensi pure decelerando all’andatura del dub, come quello da “mille e una notte” di “Underdog world strike” o quello puramente alla Clash di “Immigrant punk”. Il minestrone linguistico e musicale di “Gypsy punks underdog world strike” (ah, l’album è stato registrato da Steve Albini, uno che in passato si è scomodato per Nirvana, Fugazi e Neurosis) ribolle con le temperature mediterranee della spagnolesca “60 revolutions” (quando la Mano Negra impugna una Molotov) e del rock‘n’roll da balera di “Santa Marinella” (nel cui testo, nella foga, è spiacevolmente finita pure una bestemmia in italiano…). La trattoria dei Gogol Bordello produce tanto fumo… ma cucina anche arrosti prelibati! Oltre agli odori della world music (l’etno-canzonetta “Avenue B”, la ballata da falò “Illumination”, il folk di “Undestructable”), il maitre Eugene Hütz consiglia spassionatamente il sapido hippie-beat di “Oh no” oppure il corroborante piatto del giorno, quella “Not a crime” che non si fa mancare neppure un contorno hip-hop rappato dal guest vocalist Ras Kush (che fa molto Asian Dub Foundation).
Prendi questa mano, zingara: che sorpresa, chi l’avrebbe mai detto che la linea della vita del crossover conducesse dritta dritta al reame senza frontiere dei Gogol Bordello?
Voto: 7,5
1. Sally
2. I Would Never Wanna Be Young Again
3. Not A Crime
4. Immigrant Punk
5. 60 Revolutions
6. Avenue B
7. Dogs Were Barking
8. Oh No
9. Start Wearing Purple
10. Think Locally Fuck Globally
11. Underdog World Strike
12. Illumination
13. Santa Marinella
14. Undestructable
15. Mishto!