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FROM THE HEART OF YOUR BOOT
Un gradevole ritorno sulle scene quello degli Indigo con From the Heart of your Boot. La punk rock band originaria di Viareggio, capitanata dal frontman Lorenzo Dinelli (ex Seed’n’feed), pubblica il suo terzo long playing nuovamente con la Inconsapevole Records, etichetta indipendente livornese nata agli inizi degli anni duemila. A tre anni di distanza dall’ottimo Sfumature, la band si presenta con una nuova line up, dove Matteo Bagagli esordisce come chitarrista solista e principale, lasciando così al frontman più tempo e attenzione da dedicare alle parti vocali. Una scelta che risulta a primo impatto più che azzeccata: la sontuosa voce di Lorenzo emerge ancora più forte, matura e dannatamente piacevole. Una caratteristica che gioverà di certo alla qualità delle perfomance live del gruppo. Piccoli ma efficaci accorgimenti che rendono il nuovo sound più saturo e meglio costruito dei precedenti, senza che la veste melodic punk, oramai l’impronta di riconoscimento della band, sia intaccata.
Osservando da più vicino le dodici tracce, l’album comprende come da copione molte canzoni semplici nelle liriche e nella struttura ma comunque di ottima fattura, su tutte “Hot Damned Summer”, “History’s Repeating” (traccia più lunga del disco che va oltre i quattro minuti) e “Start to Live Again”. Cambiano le sostanze invece con “The Great Deveice” e la trascinante “We’re Accompliances”, tra le più dure e articolate dell’intero disco. Il vero balzo di qualità però, si percepisce con la traccia d’apertura “Breaking the Chains of Modern Slavery”; pezzo pieno di energia, di rabbia, che tra sali e scendi atmosferici alternati a riff solidi come cemento, trasmette la voglia di liberarsi di tutte le ansie e paure che si hanno. Senza dubbi la canzone più riuscita dell’album.
Ad ogni modo, ci sono anche canzoni difettose, come “Junkhead”, “The Boot” e “Shitty Times”, che per quanto orecchiabili, sono meno sorprendenti e più sterili e non all’altezza delle restanti.
Mancano all’appello le rimanenti “Tunaface”, la docile e rilassante “Gears of My Dreams” caratterizzata da un piacevole arpeggio in pulito che lascia spazio alle distorte chitarre solo nel ritornello, e l’ultima traccia “Cuting Waves Outta Sea” che chiude in ottima maniera un album che per quanto omogeneo e a tratti monotono, è decisamente interessante, di qualità e adatto a un pubblico vasto e variegato.
Voto: 6/7
01. Break the Chains of Modern Slavery
02. Hot Damned Summer
03. History’s Repeating
04. Shitty Times
05. Start to Live Again
06. Junkhead
07. The Great Device
08. Tunaface
09. We’re Accompliances
10. Gears of My Dreams
11. The Boot
12. Cutting Waves Outta Sea