Gli All That Remains fanno il loro ritorno con "For We Are Many", disco composto da 12 tracce per una durata complessiva di 41 minuti circa.
Il disco in realtà non riporta nessun passo avanti né indietro, bensì si potrebbe azzardare nel pensare che "For We Are Many" sìa un riassunto di tutte le strade sonore che la band ha intrapreso nella propria ardua carriera: si passa infatti dal solito Metalcore (che a dirla tutta ha veramente seccato, nda) con i soliti buon vecchi breakdown che piacciono molto ai Moshers invasati ai Death Metal riffs di stampo Swedish, quindi incentrati più sulla melodia disarmante che sulla potenza basata per lo più sulla violenza assoluta.
E poi abbiamo tracce che faranno parecchio storcere il naso ai Metallers vogliosi di headbanging senza sosta, ossìa vere e proprio uscite radiofoniche cantate completamente in pulito senza un minimo di grinta, risultando perciò talmente addolcite da sembrare quasi stucchevoli ("The Last Time" su tutte).
Non si può tuttavia negare che la voce di Phil Labonte non stoni affatto, dimostrando ai vari timpani che avranno la possibilità di ascoltare il disco d'essere un cantante versatile alternando con maestrìa growl-scream e melodico: un brano molto atmosferico, epico, ben strutturato è senza dubbio "The Waiting One", a confermare quanto appena affermato sulla bravura canora di Phil e sulla tecnica dei suoi compagni di viaggio.
Tutto sommato il disco suona bene (soprattutto grazie alla produzione esplosiva di Adam D.) ma non si può negare di certo la presenza di ingenuità spesso imbarazzanti da parte della band: in più episodi sembra quasi come se volesse mantenere un piede ben saldo nel panorama Metal e l'altro in un ambiente più commerciale mirato a più ascoltatori. Niente di che.