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WHAT SEPARATES ME FROM YOU
Se venissi rapito dagli alieni e questi mi chiedessero di dar loro un disco che possa riassumere la “scena giovane” di questi anni zero, probabilmente non farei un errore dando loro questo disco. Non perché sia meglio degli altri, affatto, ne perché sia particolarmente significativo. Tuttavia “What separates me from you” racchiude un decennio di musica generazionale, quella roba che puoi capire se sei nato nei tardi anni ottanta/primi novanta e sei stato adolescente in questo primo decennio del terzo millennio, raccontandola con precisione didascalica.
Siamo al cospetto della classica e a dir poco collaudata formula che comprende pop-punk, grida, doppia-cassa e breakdown. A volersi dilungare nella disamina musicale si può dire che l’equilibrio in questo caso è un filo più spostato verso la melodia, o perlomeno quelle sono le parti che mi convincono di più, e che il tutto è suonato e prodotto come dio comanda, ma c’è poco altro da aggiungere.
A voler fare accostamenti direi Atreyu, Aiden e Simple Plan frullati insieme, ma di riferimenti possibili ce ne sono mille e mille altri, tanti quanti sono i gruppi del genere usciti in questi dieci anni. E allora, se non ha senso parlare di come suona, cosa posso dire? Beh, posso aggiungere che probabilmente fosse uscito nel 2005 (e già sarebbe tardi, ma io sono uno che sul pezzo ci arriva tendenzialmente per ultimo) questo album l’avrei divorato di ascolti, perché se il genere piace di materiale buono ce n’è.
Il problema è che nella mia collezione di dischi di album come questo ce ne sono ormai un bel po’ e, quasi sicuramente, se avessi voglia di ascoltare questo genere di prodotto non è a “What separates me from you” che mi rivolgerei. Non perché sia peggio, ma probabilmente perché in merito che conta, e molto, è il legame affettivo.
Io l’ondata “nu-emocore” di ciuffi, eyeliner e tatuaggi fino alle mutande l’ho beccata sul nascere e quindi sta roba ormai mi ha tendenzialmente saturato. Però se avessi un fratello diciamo cinque sei anni più giovane influenzato dai miei ascolti, ma in pieno diritto di una propria identità e di un proprio gruppo “manifesto”, probabilmente ci sfonderebbe le casse dello stereo con pezzi tipo “It’s complicated”, “This is the house that doubt built” o “Out of time” ed io non avrei nulla da ridire. E’ roba per le giovani masse e questo è un forte limite perché io possa valutarla oggettivamente, ma alla fine ci sta e, ripeto, suona catchy e credibile abbastanza da farmela ascoltare senza problemi, portandomi anche a canticchiarne alcuni passaggi.
Dopo dieci anni di tentativi, tra dischi troppo “duri” per sfondare e troppo “molli” per essere ancora credibili come derivati da una scena che si dichiara incazzosa, la giusta, perfetta, via di mezzo non è più una chimera ed ormai è ben nota ed accessibile a tutte le band della scena.
Sceglierne una rispetto ad altre diventa unicamente questione di gusto personale. A Manq, gli “A day to remember” paiono meglio di molti altri.
01 – Sticks & bricks
02 – All I want
03 – It’s complicated
04 – This is the house the doubt built
05 – 2nd sucks
06 – Better off this way
07 – All signs points to Lauderdale
08 – You’ll be Tail, I’ll be Sonic
09 – Out of time
10 – If I leave